Smartworking: svantaggioso per la crescita professionale?
Il contesto
Un recente sondaggio della Society for Human Resource (SHRM) rivela che per il 34% dei partecipanti lavorare in smartworking riduce le opportunità di far carriera[1]. Questo fa eco alle dichiarazioni dei CEO di alcune grandi banche di investimento (ad es. Goldman Sachs) che si sono schierati contro lo smartworking citando in particolare la necessità dei lavoratori più giovani di essere in ufficio per assorbire appieno la cultura aziendale dell’organizzazione e poter interagire direttamente con i loro superiori.
Con il modello di lavoro ibrido sempre più adottato dalle organizzazioni nel post-pandemia, sia i collaboratori che i manager si chiedono se le persone che lavorano in presenza godano di vantaggi rispetto a chi lavora da casa.
Le evidenze
I risultati di ricerche e studi suggerirebbero di sì. Per esempio, secondo un articolo dell’Harvard Business Review, chi lavora in ufficio gode di un’asimmetria di potere rispetto a chi lavora da casa. I lavoratori in presenza hanno un accesso più rapido a informazioni, tecnologia migliore e godono di maggiore visibilità anche quando il loro sforzo è identico a chi lavora da casa.
Quest’ultimo fattore è particolarmente importante. In uno studio della Stanford Business School condotto in un’azienda con un modello ibrido in Cina, è emerso che a parità di sforzo, chi lavora in presenza riceve più promozioni perché ha più opportunità di essere notato dai manager e dimostrare le proprie capacità durante il conseguimento di un obiettivo.
Nonostante non ci sia evidenza che attesti che lavorare in ufficio renda più produttivi o engaged, secondo Brian Kropp di Gartner molti manager sono ancora convinti che chi è in ufficio renda di più di chi lavora da casa. Questo potrebbe penalizzare chi per necessità (es. distanza, impegni familiari) o per scelta decide di lavorare da casa.
Le soluzioni
Rachel Feintzeig del Wall Street Journal ha alcuni consigli per collaboratori e manager per rendere il modello ibrido delle organizzazioni più equo per tutti. Tra di essi suggerisce di aumentare la frequenza di interazione e comunicazione per non rimanere esclusi da nuove iniziative o progetti. Per i manager, invece, può risultare critico concentrarsi sull’equità, verificando che chi lavora da casa non sia penalizzato rispetto a chi è in ufficio dal punto di vista di benefit e valutazioni.
Un elemento risulta imprescindibile: le organizzazioni devono prendere iniziative concrete per disegnare dei contesti di lavoro ibridi che soddisfino le esigenze di collaboratori con preferenze ed esigenze lavorative diverse. Si tratta di un percorso inevitabile che però richiederà anche di ripensare i modelli di business e di produzione di valore. Siamo all’inizi, ma suggerisco a tutti una quick review della propria organizzazione. In OrgTech ne facciamo molte e i risultati sono spesso sorprendenti!
Luca Solari
Founder di OrgTech, Professore Ordinario Organizzazione Aziendale e Innovazione & Direttore della Scuola di Giornalismo Università Statale di Milano
OrgTech è una società di consulenza che si occupa di trasformazione organizzativa basata sull’innovazione e sulla people-centricity come base per lo sviluppo sostenibile aziendale.
Smartworking: svantaggioso per la crescita professionale?
Il contesto
Un recente sondaggio della Society for Human Resource (SHRM) rivela che per il 34% dei partecipanti lavorare in smartworking riduce le opportunità di far carriera[1]. Questo fa eco alle dichiarazioni dei CEO di alcune grandi banche di investimento (ad es. Goldman Sachs) che si sono schierati contro lo smartworking citando in particolare la necessità dei lavoratori più giovani di essere in ufficio per assorbire appieno la cultura aziendale dell’organizzazione e poter interagire direttamente con i loro superiori.
Con il modello di lavoro ibrido sempre più adottato dalle organizzazioni nel post-pandemia, sia i collaboratori che i manager si chiedono se le persone che lavorano in presenza godano di vantaggi rispetto a chi lavora da casa.
Le evidenze
I risultati di ricerche e studi suggerirebbero di sì. Per esempio, secondo un articolo dell’Harvard Business Review, chi lavora in ufficio gode di un’asimmetria di potere rispetto a chi lavora da casa. I lavoratori in presenza hanno un accesso più rapido a informazioni, tecnologia migliore e godono di maggiore visibilità anche quando il loro sforzo è identico a chi lavora da casa.
Quest’ultimo fattore è particolarmente importante. In uno studio della Stanford Business School condotto in un’azienda con un modello ibrido in Cina, è emerso che a parità di sforzo, chi lavora in presenza riceve più promozioni perché ha più opportunità di essere notato dai manager e dimostrare le proprie capacità durante il conseguimento di un obiettivo.
Nonostante non ci sia evidenza che attesti che lavorare in ufficio renda più produttivi o engaged, secondo Brian Kropp di Gartner molti manager sono ancora convinti che chi è in ufficio renda di più di chi lavora da casa. Questo potrebbe penalizzare chi per necessità (es. distanza, impegni familiari) o per scelta decide di lavorare da casa.
Le soluzioni
Rachel Feintzeig del Wall Street Journal ha alcuni consigli per collaboratori e manager per rendere il modello ibrido delle organizzazioni più equo per tutti. Tra di essi suggerisce di aumentare la frequenza di interazione e comunicazione per non rimanere esclusi da nuove iniziative o progetti. Per i manager, invece, può risultare critico concentrarsi sull’equità, verificando che chi lavora da casa non sia penalizzato rispetto a chi è in ufficio dal punto di vista di benefit e valutazioni.
Un elemento risulta imprescindibile: le organizzazioni devono prendere iniziative concrete per disegnare dei contesti di lavoro ibridi che soddisfino le esigenze di collaboratori con preferenze ed esigenze lavorative diverse. Si tratta di un percorso inevitabile che però richiederà anche di ripensare i modelli di business e di produzione di valore. Siamo all’inizi, ma suggerisco a tutti una quick review della propria organizzazione. In OrgTech ne facciamo molte e i risultati sono spesso sorprendenti!
Luca Solari
Founder di OrgTech, Professore Ordinario Organizzazione Aziendale e Innovazione & Direttore della Scuola di Giornalismo Università Statale di Milano
OrgTech è una società di consulenza che si occupa di trasformazione organizzativa basata sull’innovazione e sulla people-centricity come base per lo sviluppo sostenibile aziendale.